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minimalismo

s.m.

Stile di abbigliamento che ha caratterizzato gli inizi degli anni '90. Un ideale: ridurre al minimo il bisogno ancestrale di decorazione. Si opponeva all'opulenza degli anni '80, dove solo l'eccesso era davvero di moda. A quel tempo la maniera di truccarsi, vestirsi o scegliere accessori vistosi, tutto diventava testimone di un atteggiamento trasgressivo e un'ostentazione di lusso. La moda incominciava quel cammino che l'avrebbe portata, a macchia d'olio, a coinvolgere una sempre più larga fascia sociale. Alla scelta dell'apparire per l'apparire, il minimalismo oppone un aspetto sobrio e una ricercata semplicità, cogliendo suggestioni dall'architettura, dall'arte e dalla letteratura minimalista americana. I colori sono neutri e naturali, regnano il nero, il bianco e il beige. Fra i maestri antesignani troviamo prima fra tutte Coco Chanel e poi Giorgio Armani, Calvin Klein, Helmut Lang e Miuccia Prada l'ultima l'ispiratrice, che lo traforma in un concetto di modernità assoluta. Sono anni di moda ricercata che coinvolge tutto il fashion system. Gli uomini preferiscono la T-shirt alla camicia, le donne magrissime e diafane rifiutano l'immagine-bambola. Ma lo spirito zen che anima "l'assenza" sarà preso d'assalto alla fine del XX sec. dagli stilisti "massimalisti" come Roberto Cavalli e Tom Ford ( per Gucci) che riproporranno abiti arricchiti da cristalli, tessuti maculati e jeans dagli orli piumati. Ritorna quella moda urlata e sexy, nell'eterno gioco delle sovrapposizioni e dei rapidi cambiamenti che sono l'anima stessa della moda, contropposta allo stile, che invece ha vita più lunga



Prada


 
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